L’ironia nella pubblicità
Sempre più brand innestano nella loro comunicazione una vena ironica e personale, quasi andando a spogliarsi dalle vesti aziendali, che spesso causano repulsione nei confronti del consumatore sempre più soggetto ad assalti pubblicitari sterili. L’ironia, nel corso degli anni, è stata adottata e declinata nelle sue forme più disparate, restando aderente ai mezzi in cui è stata incanalata. L’utilizzo dell’umorismo non è di certo nuovo, già da moltissimo tempo si è configurata come una tecnica estremamente efficace per raggiungere il pubblico desiderato. Un esempio possiamo sicuramente trovarlo negli spot del settore automotive, in particolare Volkswagen, che nel 1990 presentava la Polo come un’auto dalla quale nessuno avrebbe voluto scendere, persino per tagliare le siepi o giocare con la propria figlia facendole saltare la corda. Un caso recente risalente al 2018 è invece quello di Buondì Motta, nel quale abbiamo seguito l’epopea divertente di una famiglia maledetta dalla caduta di un asteroide, solo per aver negato l’esistenza di una colazione in grado di soddisfare le esigenze della piccola protagonista.
Oggi e, forse, domani
L’aspetto più interessante dell’ironia declinata ai giorni nostri, però, emerge da canali quali i social. Sempre più Social Media Manager vengono chiamati all’azione dai vari brand utilizzando il linguaggio riformulato, rigenerato, remixato proprio dei memi, forme di comunicazione imprevedibili, in grado di influenzare un consumatore per l’acquisto di un prodotto, o un elettore alle urne.
I Meme
Richard Dawkins, il primo a farsi promotore di questo termine nel 1971, parlò del meme come unità di informazione del gene, che tende a replicarsi, legando quindi il vocabolo al nostro codice genetico. L’avvento di internet ha fatto riemergere questo termine soprattutto per il concetto di “replica”, considerando i memi come unità di informazione che si replica nella cultura di massa per imitazione. Ad oggi possiamo considerarle quasi come forme di vita digitale che sgomitano tra loro per la sopravvivenza, replicandosi e mantenendo quelle che nell’ambiente vengono definite “basi” ma che, di volta in volta, subiscono piccole variazioni, fino a snaturare del tutto il contenuto di partenza.
I Meme hanno portato con sé lo sviluppo di diversissime pagine nate con il solo e puro scopo di condividere contenuti divertenti, dalle quali poi è emersa tutta la bellezza umana dei contenuti scanzonati e difettosi che fruiamo tutti i giorni. È curioso considerare che la necessità di apparire umani sia una delle grandi prerogative odierne dei vari marchi, ed è proprio il meme a concedere questa possibilità incarnata dalla funzionalità e leggerezza del contenuto.
Il linguaggio dei meme nei brand
Ad oggi il linguaggio proprio dei memi è sfruttato ampiamente da abilissimi social media manager, che sono stati direttori di una comunicazione più scanzonata ma efficacissima: è il caso di Unieuro, in cui il sapiente manager porta avanti la narrazione di un timorato dipendente preoccupato di fare sempre la mossa sbagliata, oppure Treccani, che sfrutta ampiamente i trend del momento per svestirsi dai veli solenni dell’azienda produttrice di dizionari ed avvicinarsi invece ad una dimensione più umana ed attenta all’attualità, sfruttando il linguaggio grafico dei memi per ridefinire e ridefinirsi. Quello che emerge da questi approcci, quindi, è che l’ironia, l’umorismo, la comicità siano frecce appuntite nella faretra dei brand, con le quali sono in grado di avvicinarsi a noi, togliersi di dosso l’aura fredda e stoica del marchio per mostrarci e dimostrarci che sia tutto frutto di persone tali e quali a noi, con pregi, difetti, paure, conoscenze e abilità. La strategia è chiara: più sei umano, più sei vicino a me, più il tuo prodotto o servizio è alla mia portata. Non ci resta quindi che chiederci: che cosa ci aspetta in futuro? I memi e il loro linguaggio continueranno forse ad evolversi alla ricerca di una meta irraggiungibile o lasceranno il posto a nuove forme comunicative mai scoperte?