Digital Divide vs Digital Inequality: nuove forme di discriminazione sociale?
Per comprendere meglio il motivo per cui il tema delle diseguaglianze mediali sia sempre attuale, ci colleghiamo all’articolo di Laura in cui è stata trattata la Teoria del Knowledge Gap per spiegare i necessari passi avanti fatti con gli studi successivi a questa teoria.
La Teoria del Knowledge Gap riconduce il divario di conoscenze alle condizioni socioeconomiche, ossia tra chi può permettersi l’informazione e chi no, mentre le teorie successive analizzano anche altri elementi, emersi con l’avvento di internet e la diffusione delle tecnologie.
A partire dagli anni ’90 si è sviluppato un dibattito proprio sul tema delle diseguaglianze rispetto alla diffusione delle informazioni: si tratta della teoria sul Digital Divide, la quale stabilisce che ci sono aree geografiche del mondo dove le reti informatiche sono riuscite a svilupparsi, e realtà che rimangono oltre il divario digitale, in quanto non riescono ad accedere all’autostrada dell’informazione.
La rete informatica non raggiunge in modo equivalente tutti i territori nazionali e mondiali, e alle problematiche di copertura si associano una scarsa capacità di tradursi in servizi effettivi e i costi di accesso per gli utenti, monetari e culturali.
Dall’inizio dell’avvento di Internet, la sua diffusione non è avvenuta in egual misura in tutti i territori, dando luogo al gap tra “information rich” e “information poor”, ossia tra i pochi che avevano la possibilità di connessione e i tanti che, invece, ne rimanevano esclusi e quindi sconnessi.
Se gli studi sul Digital Divide si sono concentrati solo sulla possibilità di accesso ad Internet, le successive riflessioni sulla Digital Inequality, invece, si sono concentrate sulle differenze d’uso delle tecnologie digitali e l’accesso all’informazione mediale, anche in base alle motivazioni degli utenti.
Dagli studi sulla Digital Inequality è emerso che le dimensioni attraverso cui analizzare le diseguaglianze prodotte dal mondo digitale sono tre:
- Accesso. Qualità e autonomia della connessione sono caratterizzate dalle regole d’uso dei diversi contesti: sono intuibili le differenze tra la connessione sul luogo di lavoro e quella che, ad esempio, avviene nell’ambiente domestico e familiare.
- Competenze: la qualità di accesso alla rete permette di migliorare le proprie competenze digitali, arrivando alla soddisfazione e gratificazione dell’utente. Le competenze che si sviluppano, operative, informazionali e strategiche, permettono inoltre di utilizzare in modo corretto la rete.
- Uso. Le diverse possibilità d’uso racchiudono tutte le motivazioni e i diversi modi con cui entriamo nel mondo connesso: non solo informazione, ma anche comunicazione, intrattenimento, shopping, educazione, lavoro, affari e finanza.
Nell’attuale scenario mondiale
Se da una parte, alcune realtà stanno ancora “combattendo” contro forme di Digital Divide, dall’altra, in contesti socioeconomici “elitari” si sono sviluppate vere e proprie forme sociali in cui si assiste addirittura al fenomeno di Convergenza Mediale: queste ultime sono quelle realtà che, secondo la Teoria del Knowledge Gap, appartengono a status socioculturali elevati.
Per dirla alla Henry Jenkins, il quale ha coniato l’espressione di “Cultura convergente”, con convergenza mediale si intende proprio l’incontro convergente di consumatori e produttori, tra vecchi e nuovi media e linguaggi, che hanno portato alla nascita dei nuovi e moderni prodotti culturali.
Per semplificare, possiamo dire che si tratta di un comportamento, ossia quello del cittadino digitale e della sua attitudine al volere (e soprattutto potere) accedere a tutti i contenuti e servizi multimediali di interesse, in qualsiasi contesto e con qualsiasi strumento a disposizione. Sono gli individui stessi che intercettano i contenuti di interesse secondo le proprie esigenze e possibilità di fruizione, cambiando radicalmente la propria dieta mediatica.
Ogni individuo, inoltre, ha accesso ai contenuti attraverso diverse piattaforme e fonti di informazione, può gestire e personalizzare i propri contenuti le proprie modalità di fruizione, il tutto attivando anche un sistema di relazioni tramite le community e i social network.
Siamo sempre e costantemente connessi, ovunque ci troviamo: è facilmente intuibile, dunque, che siamo nell’era di una modalità di fruizione fluida e un’integrazione costante della comunicazione offline con quella online, che avviene sempre e ovunque, everytime and everywere.
In tutto questo processo è stato fondamentale il ruolo della tecnologia, la quale:
- Ha permesso una fusione dei media, come le Smart Tv che permettono di fruire sia dei classici canali tv, sia film e serie Tv tramite collegamento Internet;
- Ha reso possibile concentrare tutto in unico dispositivo, basta pensare all’utilizzo che si fa oggi dello smartphone.
Per concludere, il Digital Divide rappresenta quel divario, già riscontrato con la Teoria del Knowledge Gap, tra chi ha la possibilità di accesso a internet e ai mezzi tecnologici e chi, invece, è escluso da questi vantaggi offerti dalla società digitale.
In merito all’importanza di ridurre il divario si è espresso anche il Consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite, approvando una risoluzione che considera “Internet alla stregua di un diritto fondamentale dell’uomo”, chiedendo a tutti gli Stati di promuove un’accelerazione e facilitazione del progresso di accesso alla rete.
Fino a che questo non sarà reso possibile, per le più svariate ragioni, questa diseguaglianza sociale resterà collegata all’assenza di accessibilità alle nuove tecnologie si assisterà ad un’esclusione digitale senza possibilità di accesso all’informazione, oltre che alle tecnologie.
Disintermediazione: una reale opportunità?
La disintermediazione è la strategia attraverso cui un’azienda o un’organizzazione comunica al proprio pubblico di riferimento, scavalcando le tradizionali logiche comunicative: si tratta di una comunicazione orizzontale e diretta che bypassa la mediazione comunicativa, rivolgendosi direttamente ai propri pubblici.
In realtà, non si tratta di un fenomeno del tutto nuovo, basti pensare al commercio tradizionale dove i produttori vendevano i beni da loro prodotti direttamente ai propri clienti. La disintermediazione attuale ha acquisito connotazioni digitali, portando con sé tutti i vantaggi e gli svantaggi ad essa connessi.
Le 3 principali caratteristiche della disintermediazione sono:
- Autorappresentazione (Castell parla di mass self communication come l’abilità di ciascuno di autorappresentarsi);
- Indipendenza dall’intermediario che perde sempre più potere;
- Prossimità interattiva, ossia la possibilità di dare una risposta immediata grazie ai new media e ai social media.
Osserviamo il fenomeno della disintermediazione attraverso alcuni esempi.
I new media, come i quotidiani online e i blog, sono canali che hanno una forza comunicativa straordinaria. Il giornalista, ad esempio, che precedentemente aveva una funzione di filtro nelle testate giornalistiche, ha dovuto reinventarsi in modo da comunicare direttamente con la propria audience, attraverso i propri account social.
Questa modalità di approccio è oggi consentita proprio dai social network, i quali permettono una veicolazione in tempi rapidissimi, una pervasività e diffusione unici e la possibilità di azioni mirate verso i destinatari, disintermediando, appunto, la propria comunicazione. Questo non significa arrivare a tutti e indistintamente, perché questo processo comunicativo necessita di pianificazione verticalizzata in modo da consentire di individuare esattamente il target a cui si intende rivolgersi.
Anche nella comunicazione politica l’avvento dei new media ha rivoluzionato le tradizionali dinamiche comunicative. Grazie alla velocità di diffusione tipica dei nuovi media digitali, qualsiasi esponente o personaggio politico, anche (e soprattutto) durante le campagne elettorali, può rivolgersi direttamente ai cittadini, personalizzando il proprio messaggio.
A titolo esemplificativo, si pensi alle dinamiche funzionali di Twitter, dove i personaggi politici gestiscono direttamente la propria comunicazione politica instaurando una relazione orizzontale con i propri sostenitori e non, i quali hanno la possibilità di dimostrare il proprio appoggio o di commentare secondo i propri ideali.
Un’impresa può trarre profitto dalla disintermediazione? Sicuramente sì, ma ad alcune condizioni. Creare una relazione diretta con i propri clienti crea valore per l’azienda stessa, grazie alla possibilità di instaurare un’interazione orizzontale e senza filtri.
Le attività dovrebbero comunicare emozioni e valori in cui tutti i loro utenti si possano identificare, comunicando tramite una personalizzazione ed umanizzazione del brand, tramite i contenuti che vengono veicolati attraverso canali diversi e in tempi diversi. Viene in supporto alle aziende, in tal senso, il marketing emozionale che consiste nel fare leva su peculiarità emotive degli utenti consentendogli di vivere esperienze indimenticabili, oltre che a comprendere meglio i loro bisogni.
Un altro esempio di applicazione di disintermediazione nella comunicazione marketing è la liveness, ossia la trasmissione di un messaggio in tempo reale attraverso lo streaming. Tramite questa tecnica si stimolano gli utenti, ottenendo una partecipazione collettiva alla comunicazione dell’opinion leader.
Per comprendere meglio questo concetto, potrebbe essere interessante osservare il Live Streaming Commerce, un fenomeno nato in Cina e da poco approdato anche in occidente: si tratta di una rivisitazione delle televendite, che avviene online in diretta streaming tramite i canali social, in cui le aziende, talvolta avvalendosi della collaborazione di influencer, propongono i propri prodotti o servizi consentendo acquisti diretti.
Per concludere, esaminiamo uno degli esempi di disintermediazione più importanti degli ultimi vent’anni: il fenomeno del settore del turismo. La disintermediazione ha completamente trasformato il mercato turistico e le sue logiche, incentivando la creazione di legami diretti del cliente con le varie strutture ricettive, i tour operator e le compagnie aeree, svantaggiando ai fatti il comparto delle agenzie di viaggio che, dalla fine degli anni ’70, gestivano la quasi totalità del mercato.
Apparentemente, l’avvento di questo fenomeno ha concettualmente disancorato questo equilibrio, portando i mediatori turistici ad una difficile presa di posizione: scegliere come non essere travolti da questo cambiamento radicale.
Quali possono essere, allora, le soluzioni alla disintermediazione? Ecco di seguito alcune idee:
- creare valore per i propri attuali e potenziali clienti;
- ridurre la distanza comunicativa;
- proporre offerte ed esperienze personalizzate e targettizzate;
- porre gli utenti al centro dell’attenzione.
Tutto questo consente di ottenere un reale vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti quando un’azienda riesce a soddisfare i desideri dei propri clienti, creare fiducia, essere interessante ed originale, trasmettere entusiasmo con le proprie proposte e a comunicare in modo efficace.
La teoria del Knowledge Gap
La teoria del Knowledge Gap
Il divario di conoscenza e competenze di cui si parla troppo poco
Quello conosciuto come knowledge gap è il divario che esiste tra individui e gruppi sociali diversi rispetto alla capacità che hanno di trovare, elaborare, creare e condividere informazioni di diverso tipo.
Non si può ignorare il fatto che le tecnologie digitali hanno un ruolo fondamentale nel rendere disponibili e accessibili a tutti una grande quantità di informazioni e di dati. In altre parole, tecnologie e ambienti digitali sono da considerare una sorta di infrastruttura della conoscenza.
La teoria del knowledge gap, analizza il rapporto fra la crescita di diffusione delle informazioni nella società e il relativo livello conoscitivo delle persone.
Le cause che possono portare a differenze anche sostanziali nell’accesso alle conoscenze sono per lo più di carattere socio-demografico e cioè legate a età, gruppo sociale di appartenenza, reddito ed etnia.
La variabile dell’istruzione è di primaria importanza ma vi sono anche altri fattori rilevanti:
- le capacità comunicative
- la mole di informazioni già possedute
- i contatti sociali
- la memorizzazione dell’informazione
- il tipo di media che diffonde l’informazione
La conoscenza è inoltre distribuita fra classi sociali in modo differente: caratteristiche personali, posizione sociale e struttura sociale sono fattori che influenzano in modo decisivo l’approccio ai media digitali, alle informazioni e alla loro elaborazione.
Il knowledge gap (chiamato anche divario di conoscenza) è ampliato dal Digital Divide, lo scarto tecnologico e di conoscenze digitali che esiste tra i diversi luoghi e classi sociali e che influenza la possibilità delle persone di avere accesso a internet e quindi a maggiori conoscenze e informazioni.
Cosa possiamo fare dunque?
Sicuramente renderci conto di queste differenze è il primo passo per superarle. Teniamoci informati e aggiornati, spesso chi subisce il knowledge gap non se ne rende conto. La strada per uscire da questo divario è ampliare il proprio perimetro conoscitivo con la curiosità e il costante e metodico aggiornamento. Come ogni divario la via per superarlo c’è ed è percorribile da tutti, perché le fonti dove trovare nuove conoscenze sono disponibili, e dove, se non in rete?
Brand Identity e Prisma di Kapferer
Per Brand Identity si intende il modo in cui un’azienda si presenta ai consumatori attraverso elementi come nome, logo, mission, prodotti, prezzi, pubblicità e rapporto con i consumatori.
L’identità del brand/marchio è, in sostanza, come l’impresa vuole essere percepita dal proprio pubblico.

Si parla di “brand identity”, immagine desiderata, e “brand image”, immagine percepita.
La prima si riferisce all’immagine visiva che l’azienda intende proporre al pubblico, la seconda rappresenta, invece, il modo in cui il consumatore percepisce il brand cui è interessato.
Nel 1966 il ricercatore statunitense Jean-Noël Kapferer, esperto di strategic brand management, ha definito i 6 elementi della brand identity, disegnando un prisma, chiamato appunto Prisma di Kapferer, in cui questi sono in continua relazione:
- Caratteristiche fisiche del brand
- Brand personality
- Cultura e valori aziendali
- Immedesimazione nel brand o self image
- Definizione del target o reflection
- Relazioni con il pubblico.

1. Caratteristiche fisiche del brand
Le caratteristiche fisiche del brand hanno a che fare con gli attributi fisici del brand: logo, design, colori, packaging, ecc.
La brand personality si riferisce al modo in cui vengono presentati i prodotti
2. Brand Personality
2. Brand Personality
La brand personality si riferisce al modo in cui vengono presentati i prodotti
3. Cultura e valori aziendali
Cultura e valori aziendali riguardano tutti i valori sui quali si fonda il business model dell’azienda.
Immedesimazione nel brand o self-image: la brand identity si costruisce anche sulla percezione che il target ha di se stesso grazie all’uso della marca.
4. Immedesimazione nel brand o self image
4. Immedesimazione nel brand o self image
Immedesimazione nel brand o self-image: la brand identity si costruisce anche sulla percezione che il target ha di se stesso grazie all’uso della marca.
5. Definizione del target o reflection
Target o reflection: il brand è il riflesso dei clienti. Il Target viene collegato alla marca e contribuisce a definirne l’identità stessa.
Relazione con il pubblico: il rapporto tra il brand e i clienti è determinante per trasmettere i valori e l’identità che si vuole vengano percepiti
6. Relazioni con il pubblico
6. Relazioni con il pubblico
Relazione con il pubblico: il rapporto tra il brand e i clienti è determinante per trasmettere i valori e l’identità che si vuole vengano percepiti
Quindi definire la propria identità aziendale e creare una brand identity sono passi decisivi e fondamentali per conquistare la fiducia del proprio pubblico, distinguendosi ed emergendo nel proprio mercato di riferimento.
L’azienda deve essere in grado di “allineare la brand identity con la brand image”.
Con l’ottenimento di questo posizionamento, la comunicazione digitale d’impresa risulterà essere più efficace, meno dispendiosa e in altri termini porterà maggiori risultati profilati.

W&D 2.0 ti aiuta a strutturare una strategia di comunicazione coerente con la tua mission ed i tuoi valori aziendali. Vogliamo coinvolgere i tuoi clienti e farli “innamorare” del tuo brand, raccontando i tuoi punti di forza, facendoti riconoscere tra i tuoi competitors, creando uno stile unico ed inequivocabile.
Affidati ad esperti del web per guadagnare visibilità e credibilità, raggiungendo il pubblico più adatto ai tuoi prodotti o servizi.
Branded Podcast per Aziende: un nuovo modo di fare marketing
Enel, BPER Banca, Plasmon, Autogrill, Sephora… Sono solo alcuni dei grandi brand che hanno scelto di integrare un Podcast all’interno della loro strategia di marketing.
Perché ad oggi è importante avere un canale Podcast?
Vediamo in che modo i contenuti audio possano contribuire alla crescita del tuo business.

Partiamo dal principio: cos’è un Podcast?
Un Podcast è un contenuto audio originale, costituito da più episodi, con un fine formativo e di intrattenimento.
Questi contenuti sono ascoltabili on demand e gratuitamente sulle principali piattaforme di streaming musicale: Spotify, Apple Music, Amazon Music, Google Podcast….
Secondo i dati IPSOS 2021, il 15,5% della popolazione italiana (circa 9,3 milioni di persone) ha ascoltato mensilmente Podcast.
In funzione del contesto, un Podcast può avere diversi scopi.
Ad esempio, i Branded Podcast vengono utilizzati in ambito aziendale.
In cosa si differenzia un Branded Podcast? Quali sono le sue finalità?
Un Branded Podcast è un particolare tipo di Podcast pensato per le necessità di marketing delle aziende. Questo genere di Podcast veicola un contenuto commerciale più o meno esplicito.
Un Podcast di questo tipo può essere strutturato in diversi modi (format):

- Format Intervista: comprende una serie di interviste ai collaboratori e partner aziendali con il fine di mettere in risalto la parte più umana dell’azienda.
- Format Storytelling: racconta il percorso dell’azienda, dalla fondazione al presente, utilizzando la tecnica dello storytelling immersivo. Permette di esplicitare i valori aziendali e creare un rapporto di fiducia con l’ascoltatore.
- Format Misto: un mix di interviste e free speech su un argomento che sta a cuore all’azienda. Si alternano diversi formati per creare dinamicità e mantenere alta l’attenzione degli ascoltatori.
Quindi perché fare un Podcast aziendale?
Ci sono 5 motivi per cui dovresti integrare un Branded Podcast nella tua strategia di marketing aziendale.

Motivo 1: I podcast aumentano la fiducia e la fedeltà nella marca
Secondo un’analisi della BBC, i Branded Podcast portano ad un engagement superiore del 16% rispetto agli altri contenuti audio-visivi e ad una percentuale di ricordo del brand superiore del 12%.
Che sia traffico al sito web aziendale, alla landing page del tuo prodotto o alla tua pagina Instagram, i Podcast ti permettono di essere raggiunto da più persone.
Motivo 2: I podcast generano traffico
Motivo 2: I podcast generano traffico
Che sia traffico al sito web aziendale, alla landing page del tuo prodotto o alla tua pagina Instagram, i Podcast ti permettono di essere raggiunto da più persone.
Motivo 3: Aumenti le conversioni
Aggiungendo una call-to-action (CTA) alla fine di ogni puntata, gli intenti di acquisto crescono del 14%. Questo semplicemente perché il pubblico dei Podcast è un pubblico attento ed un ascoltatore attento è anche un ascoltatore recettivo alle inserzioni pubblicitarie.
Il mondo dei Podcast sta crescendo esponenzialmente ma per ora è un mercato non ancora saturo e con poca concorrenza. Per questo ci sono molte possibilità che il tuo Podcast salga nelle classifiche e ottenga un ottimo numero di ascolti. La tua azienda sarà percepita come innovativa.
Motivo 4: Posizioni la tua azienda nelle classifiche
Motivo 4: Posizioni la tua azienda nelle classifiche
Il mondo dei Podcast sta crescendo esponenzialmente ma per ora è un mercato non ancora saturo e con poca concorrenza. Per questo ci sono molte possibilità che il tuo Podcast salga nelle classifiche e ottenga un ottimo numero di ascolti. La tua azienda sarà percepita come innovativa.
Motivo 5: I podcast danno visibilità
Come fornitore di prodotti o servizi, vorrai sicuramente essere dove si trova il tuo pubblico. La crescente popolarità dei Podcast ti permetterà di arrivare a nuovi pubblici e farti conoscere. In particolare il tuo messaggio arriverà forte ai giovani di età compresa tra i 16 ed i 35 anni. Sono loro il target che ascolta con più frequenza i Podcast.
Per concludere: un Podcast aziendale aumenta la brand awareness, permette di mostrare il lato più umano della tua azienda e creare una relazione con l’ascoltatore ed è parte essenziale di una content strategy.
Riassumendo
Puoi utilizzare un Branded Podcast come strumento per sponsorizzare, far conoscere e far crescere il tuo business. È un canale efficace per trovare nuovi lead e per fidelizzare i follower già attivi.
Conoscevi le potenzialità del formato audio?
Valuterai l’integrazione di un Podcast nella tua strategia marketing?
Se questo articolo ti ha incuriosito e vuoi saperne di più, puoi contattarci e prenotare una chiamata con una nostra consulente. Valuterete assieme il miglior modo per realizzare un Podcast per la tua azienda.
FONTI
Testi: Branded Podcast di Rossella Pivanti, Podcast Marketing di Gaia Passamonti
Link: https://www.ipsos.com/it-it/podcast-prova-maturita-ipsos-digital-audio-survey-2021
https://www.bbc.co.uk/mediacentre/worldnews/2019/audio-activated
Annalisa Terzoli
La tutela legale per aziende che costa meno di un panino al giorno!
Oggi non parliamo di web marketing ma affrontiamo un argomento molto importante per ogni azienda: la tutela legale. Non vorremo mai sentirne parlare, è un argomento poco piacevole, scomodo, che si tende a rimandare perché tanto non succederà mai.
Ma tanto meglio se non ne avrai mai bisogno. Però.
E se invece quel giorno arrivasse? Non vogliamo fare gli uccelli del malaugurio, ma è normale, è il lavoro, è la vita. Può succedere.
Quindi ti vogliamo parlare di DAS Difesa Legale in Azienda, una polizza elaborata dai nostri collaboratori di Difesa Legale.
Sentiamo spesso parlare di incidenti sul lavoro e reati ambientali che hanno fatto fallire aziende perché non riuscivano a pagare i danni e le sanzioni. Ma questo è solo la punta dell’iceberg, ogni giorno in tutto il mondo ci sono vertenze con dipendenti, con clienti e con fornitori. E spesso chi subisce i danni è l’azienda, che si ritrova scoperta difronte alle accuse che le vengono mosse.

Ecco quindi una soluzione:
DAS IN AZIENDA – Pacchetto Base
Cosa comprende?
Il pacchetto Base DAS IN AZIENDA ti tutela legalmente in caso di:
- Penale colposo
- Penale doloso
- Opposizione sanzioni amministrative e 231
- Violazione Privacy
- Attacco Cyber
Cosa puoi aggiungere?
Tutela da danni subiti e causati, tutela della proprietà intellettuale e dalla retroattività penale.


Come vedi l’offerta è estremamente modulabile sulle tue esigenze e sulle dimensioni della tua azienda, per maggiori informazioni e per un preventivo, trovi tutto qui: www.difesalegale.me
Customer Journey circolare: il modello delle 5A di Philip Kotler
Secondo Philip Kotler il modello di Customer Journey a funnel ha lasciato il posto al modello circolare, elaborato in cinque fasi, chiamate 5A.
Con Customer Journey intendiamo il vero e proprio ‘Viaggio del cliente’ cioè il percorso che la maggior parte di noi compie prima di giungere all’acquisto o a consigliare un brand agli amici.
Nel corso del tempo, cioè da quando sono iniziati gli studi sul marketing, lo schema di questo viaggio ha assunto varie forme. Prima dell’era digitale, o meglio, prima che il digitale entrasse in modo così preponderante nelle nostre vite, la customer journey era un funnel, cioè un imbuto che mano a mano che si scendeva si restringeva. Questo viaggio a imbuto era composto da 4A, cioè 4 fasi:
AWARE: quando ci accorgiamo dell’esistenza del brand
ATTITUDE: lo troviamo in sintonia con i nostri interessi e il nostro gusto
ACT: facciamo un acquisto
ACT AGAIN: acquistiamo nuovamente un articolo di quel brand

Leggendo semplicemente questo elenco ci accorgiamo che manca qualcosa. Oggi nessuno segue più questo modello di acquisto, soprattutto non si passa così facilmente dalla fase ATTITUDE alla fase ACT. Per arrivare alla fase di acquisto il nostro viaggio si allunga e fa altre tappe. Pensiamoci. Chi di noi acquista qualcosa per la prima volta solo perché si sente in sintonia con il brand? Soprattutto senza fare altro prima di tirare fuori la carta di credito.
Quali tappe mancano in questo viaggio? Dopo la fase di ATTITUDE o meglio APPEAL, inizia la nostra lunghissima ricerca di informazioni sul brand, affidabilità, storia e soprattutto… opinioni e recensioni.
Solo allora, quando siamo pienamente soddisfatti da tutte le informazioni raccolte, passiamo all’acquisto.
E una volta acquistato?
“Ti è piaciuto il tuo acquisto? Lasciaci una recensione!
Sarai invitato a lasciare la tua opinione sul sito dove hai effettuato l’acquisto. Ma oltre a questo, se ti sei davvero trovato bene con il prodotto che hai acquistato (che sia un oggetto, un servizio o un’esperienza), lo consiglierai quasi senza accorgertene ad amici e parenti. Spesso lo consiglierai a tutto il mondo. Come? Beh, se passi un weekend in un bell’agriturismo in collina vuoi non mettere una storia su Instagram taggando l’hotel o indicando la tua posizione? Siamo dunque arrivati alla fase di ADVOCACY.
E con il passaparola un altro possibile cliente entra nella fase di AWARE. Ecco che abbiamo chiuso il cerchio.
Riassumiamo così il Modello delle 5A di Kotler:


AWARE
Come abbiamo detto, la fase di Aware è la fase della scoperta del brand. Veniamo esposti alla sua pubblicità, perché abbiamo visto il suo spot in tv, perché l’algoritmo dei social ci ha proposto le sue ads per via dei nostri interessi, perché abbiamo cercato attivamente un prodotto o un servizio e ci siamo imbattuti in quel brand, oppure perché la nostra migliore amica ce l’ha consigliato. Sono tantissimi i modi il cui il nostro viaggio può iniziare.

APPEAL
In questa fase sentiamo che il brand è nelle nostre corde, è in sintonia con noi, esprime dei valori che possiamo condividere. In generale la sua brand identity ci emoziona, ci colpisce e in certi casi ci può far sognare (chi non vorrebbe trovarsi sul ponte di una nave da crociera mentre sta per approdare a Gibilterra?).


ASK
Iniziamo informarci sul brand che ci ha colpiti. Visitiamo il suo sito, lo seguiamo sui social, leggiamo le recensioni, ci informiamo sulla sua storia e sui suoi prodotti. Soprattutto lo confrontiamo con altri brand dello stesso settore che già conosciamo.
Tutti noi abbiamo brand di riferimento per i vari settori o prodotti: magari per gli zaini abbiamo North Face o Eastpack, per l’arredamento La Maison du Monde, ecc. In questa fase il nuovo brand potrebbe entrare nella nostra rosa di brand preferiti.
E se tutto va bene, se non incappiamo in recensioni particolarmente negative, in ambiguità o scheletri nell’armadio, siamo pronto all’acquisto.

ACT
Ne abbiamo bisogno, lo abbiamo desiderato, magari abbiamo risparmiato per averlo, e finalmente lo acquistiamo. In questa fase, il cuore della Customer Journey circolare, avviene la transazione economica e l’acquisto diventa reale. Ma questa fase è molto delicata: dal momento dell’acquisto al passaparola, molte cose potrebbero andare storte.
- L’esperienza di acquisto: che sia in un negozio fisico oppure online, l’esperienza di acquisto deve risultare piacevole, chiara e senza intoppi. Altrimenti potremmo essere indotti a non acquistare più. Quante volte ci è capitato di acquistare qualcosa ma di trovare il commesso non particolarmente accomodante?
- L’esperienza di utilizzo: una volta che il nostro articolo è arrivato a casa o che siamo partiti per la nostra crociere, il prodotto potrebbe non essere come lo avevamo immaginato, meno resistente, meno funzionale, meno confortevole, ecc. Un’esperienza di acquisto ottima è ovviamente fondamentale per farci consigliare il tale brand agli amici.

Ma questo viaggio è davvero così difficile?
Sì.
Per l’azienda riuscire ad arrivare all’ultima fase è una vera sfida, un processo di selezione quasi darwiniana dove vince il più forte, il più furbo, quello che non si fa mai trovare impreparato. Per arrivare alla fase di Advocacy, il brand deve essere perfetto in tutti gli step precedenti, ma non solo perfetto, deve essere migliore di tutti gli altri brand.
E il consumatore? Chi acquista è un soggetto attivo nella fase di Ask, Act e Advocay. Ma per essere un soggetto attivo deve essere motivato, spinto da un bisogno o da un desiderio che deve essere sempre alimentato.
Il brand che corre sulla customer journey è un come un’auto in pista, che deve curare ogni minimo dettaglio di tutto il suo assetto, non rimanere mai senza carburante e correre più veloce di tutti gli altri, facendo in modo che il suo passeggero non voglia mai scendere o cambiare auto.
Questo significa che il brand deve curare ogni fase: ogni dettaglio del suo prodotto, il lancio, il marketing, l’esperienza di acquisto, la customer care, i servizi pre e post vendita. Nulla può essere lasciato al caso.
W&D 2.0 cura il tuo sito web, la comunicazione e l’esperienza di acquisto online dei tuoi prodotti. Una comunicazione efficacie e un sito a misura di utente fanno la differenza! Contattaci per superare come vincitore ogni fase della Customer Journey 5A.
Le Euristiche di Nielsen: come valutare l’usabilità del web
Le Euristiche di Nielsen sono 10 “regole” che suggeriscono come progettare un’interfaccia web in modo da ottenere un prodotto di facile comprensione ed utilizzo, mettendo in gioco il concetto di usabilità.
Secondo la definizione data dalla norma ISO 9241, l’usabilità è il “grado in cui un prodotto può essere usato da particolari utenti per raggiungere certi obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in uno specifico contesto d’uso.”
L’usabilità è solo una delle tante discipline che compongono la User Experience, ma svolge un ruolo fondamentale per il successo o meno di un sito.
Negli ultimi anni si è parlato molto di User Experience (UX), o esperienza utente, indicando il modo in cui si sente una persona quando naviga in un sito web, utilizza un’app mobile o interagisce in altro modo con i prodotti o i servizi digitali di un’azienda.
La UX, parola oggi sulla bocca di tutti, legata al mondo digital, su cui si sviluppano corsi e scuole di pensiero, in realtà non propone niente di nuovo ai programmatori e ai softweristi di oggi.
Quando si progetta un sito web o un App, oppure un qualsiasi servizio digitale, si deve lavorare per rendere questa esperienza “utile”, “credibile”, “accessibile” e “comoda” altrimenti si perde l’utente che si stanca di un prodotto poco accattivante e “amichevole” e “poco usabile”.

Lo studio più noto in questo settore, appunto, è stato condotto dall’informatico danese Jakob Nielsen, più di 20 anni fa, con la genesi delle euristiche che racchiudono i principi generali dell’usabilità.
L’usabilità ha come obiettivi quello di economizzare e minimizzare lo sforzo cognitivo dell’utente, proponendo prodotti che siano facili da comprendere, da usare, da ricordare, che evitino o rendano recuperabili gli errori e che quindi gratifichino l’utilizzatore.
Le Euristiche di Nielsen non sono vere e proprie regole ma sono suggerimenti e linee guida che qualsiasi programmatore che voglia ottenere un buon prodotto finale deve avere presente e utilizzare come base della sua programmazione.
In un mondo sempre più digitalizzato e connesso, il concetto di usabilità diventa indispensabile per garantire agli utenti un efficace e soddisfacente utilizzo di piattaforme, siti web, prodotti digitali. Per questo è dovere delle aziende trasferire questa caratteristica nel prodotto finale che intendono presentare ai propri utenti.
Concludendo. Utilizzare queste euristiche è un modo per velocizzare la progettazione e consente di creare un prodotto creato su misura dell’utente finale e permette di risparmiare tempo e risorse in quelli che sono i test utente futuri, perché anticipano ed evitano una serie di problemi.
Possono essere considerate a tutti gli effetti una solida base per la progettazione di qualsiasi user interface con il vantaggio di poter essere applicabili sin dalle prime fasi della progettazione permettendo di realizzare prodotti finali “ottimizzati” sulle esigenze del cliente finale.

I 12 Archetipi della Brand Identity
I 12 Archetipi della Brand Identity: i brand utilizzano strategie psicologiche per formare la propria immagine.
Smart Working e tecnologia digitale
Si fa un gran parlare di Smart Working e l’emergenza sanitaria legata al Covid-19 ha portato sicuramente l’argomento alla ribalta.